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Bur (Biblioteca Universale Rizzoli)

  • Immagine del redattore: Chiara Donati
    Chiara Donati
  • 13 apr 2020
  • Tempo di lettura: 3 min



La casa editrice Rizzoli venne fondata nel 1927 da Angelo Rizzoli, il quale diversificò la sua attività tra periodici, collane, libri e soprattutto cinematografia, affermandosi più per la differenziazione dei media che le per le sue collane. Durante gli anni Quaranta la società iniziò una fase di espansione fino a diventare una delle maggiori case editrici italiane.

Nel secondo dopo guerra la Casa arrivò a un punto di svolta grazie al genio e alla perspicacia di Luigi Rusca.

Luigi Rusca è stato un traduttore e scrittore italiano. Dal 1928 al 1945 lavorò per Mondadori, reimpostando con successo aspetti tecnici ed editoriali della Casa; ricoprì anche il ruolo di Direttore generale. Lasciò la Casa per incomprensioni con lo stesso Mondadori e decise, in seguito, di passare alla concorrenza, Rizzoli.

Fu proprio grazie al suo contributo e a quello di Paolo Lecaldano che la società raggiunse un enorme successo tramite la creazione della Biblioteca Universale Rizzoli (BUR).


Angelo Rizzoli

La collana venne progettata nel 1948 e lanciata l’anno seguente.

L’idea di creare una collana universale non era, in verità, particolarmente originale. Nello stesso anno, ad esempio, un’altra casa editrice, la Colip (Cooperativa del Libro Popolare), lanciò l’Universale Economica.

La particolarità della collana non stava nemmeno nella scelta dei titoli che era piuttosto tradizionale: venivano proposti classici latini e greci oppure romanzi dell’Ottocento, italiani e stranieri (sopratutto russi e francesi). Inoltre, i testi scritti dal 1900 in avanti, quindi quelli più recenti, per ragioni di diritto d’autore, non poterono nemmeno essere presi in considerazione.

Come fece, dunque, Bur ha diventare in pochissimo tempo una delle collane universali più celebri della storia?


La novità della collana fu di tipo commerciale.

Luigi Rusca era un ottimo traduttore e conosceva molto bene l’editoria straniera: fu proprio da una casa editrice tedesca, la Reclam, che prese in prestito l’idea di suddividere i testi in moduli. Inizialmente, ogni volume contava 100 pagine: se, ad esempio, bisognava pubblicare un testo di 300 pagine, lo si suddivideva in tre volumi. Quando, in seguito, si iniziò a vendere volumi di dimensioni maggiori, si stabilì che il prezzo del libro crescesse in proporzione modulare: ogni 100 pagine il lettore spendeva 50 lire cioè quanto un pacchetto di sigarette.

Non solo le dimensioni dei volumi ma anche la loro grafica, piuttosto elementare, permisero di contenere i costi di produzione. La copertina era molto leggera, di un cartoncino grigio sporco, priva di qualsiasi elemento grafico accattivante e prettamente topografica (nome autore, titolo dell’opera, nome della collana, nome della Casa). La qualità della carta non era particolarmente ricercata e l’impaginazione piuttosto sobria, caratterizzata da una fitta serie di caratteri.


Tutti questi accorgimenti, che contribuirono al successo della collana (i primi volumi vendettero 30.000 copie), furono necessari per conquistare l’attenzione del lettore perfetto: l’uomo comune. Questo era il pubblico elettivo cui Rusca ebbe l’intelligenza di rivolgersi: il lettore potenziale che, per ragioni economiche, pur intenzionato a crearsi la propria biblioteca, non era in grado di farlo. Perciò le piccole dimensioni, la scelta tipografica o anche l’idea di chiedere a insegnanti di medie e di liceo di scrivere i brevi apparati testuali a introduzione delle opere. Di poche pagine, contenenti informazioni di tipo biografico e bibliografico sufficienti a favorire una prima conoscenza dell’autore ed della sua opera. Ma come poteva una persona non avvezza a leggere comprare tanti libri senza possedere un luogo fisico in cui riporli? Proprio per rispondere a questa esigenza Rizzoli partorì la geniale trovata di marketing di creare le librerie Bur, fatte apposta per conservare i libricini della collana.


Sono appassionata di editoria libraria da tantissimo tempo. All’università ho potuto approfondire l’argomento (è una grande fortuna quando si può studiare ciò che si ama), e sono rimasta affascinata dalla storia di questa collana. Una storia che racconta quanto l’ingegno e lo spirito di osservazione possono fare la fortuna di chi sa rischiare.

Negli ultimi anni mi sono convertita al mondo dell’usato non solo per risparmiare o perché i libri usati, secondo me, hanno molta più anima di quelli nuovi (ogni tanto capita di scovare dediche, note a margine, cartoline tra le pagine, vere e proprie chicche), ma anche nel tentativo di collezionare quanti più volumi possibili appartenenti a questa collana. Ogni volta che ne trovo uno, lo compro a prescindere da quanto il testo mi interessi. Ciò che importa di un’opera, infatti, non è solamente il testo ma anche la “copertina” ossia da quale casa editrice e in quale epoca tale opera è stata pubblicata. Può sembrare un’inezia, può sembrare che un’edizione valga l’altra, ma non è così. Nel caso di questa collana non è l’opera in sé ad essere storia, ma il volume, la sua confezione: per quanto questi libricini abbiano oggi come allora un valore commerciale risibile, possiedono un enorme valore storico.


 
 
 

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